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martedì 25 ottobre 2016

Carlo De Berardinis-ANPI: lettera aperta al Presidente Provinciale dell’ANPI di Teramo, Sen. Antonio Franchi.

Preg.mo Presidente dell’ANPI – Teramo
Sen. Antonio Franchi
Vs. residenza privata
e.p.c. alle redazioni giornalistiche
vs. sedi istituzionali
Giulianova, 5 aprile 2016.

Oggetto: lettera aperta al Presidente Provinciale dell’ANPI di Teramo, Sen. Antonio Franchi.

Giulianova. Il prossimo 7 aprile, presso la Sala consiliare, presenterà alla stampa il 16° Congresso dell’ANPI - Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, che si svolgerà a Giulianova sabato 9 aprile sul tema: “Con i valori della Resistenza e della Costituzione, verso un futuro democratico e antifascista”.
Con la presente, La volevo ringraziare pubblicamente per avermi invitato ufficialmente il prossimo 9 aprile per presenziare al 16° Congresso dell’ANPI di Teramo che si svolgerà a Giulianova, dove verrà ricordato, tra l’altro, anche la figura di mio padre, il mai dimenticato sindacalista giuliese Carlo De Berardinis (1924-2003). Dopo 13 anni, Lei e l’ANPI ricordano questa figura che tanto aveva dato alla sua Giulianova: attraverso la lotta e il duro lavoro per sostenere i più deboli e soprattutto i lavoratori della terra. Per fortuna Lei e l’Associazione che rappresenta si è degnata di ricordarlo, altre istituzioni non si sono degnate neanche di rispondere alle mie legittime richieste di ricordarlo e altre negando addirittura patrocini ad eventi collegati al ricordo della sua vita umana e professionale pubblicati poi sul sito web che lo ricorda http://carlodeberardinis.blogspot.it/ . Anche l’ANPI nazionale sul suo portale, nel luglio del 2013, ricordò la sua figura attraverso l’inserimento della sua scheda biografica nella sezione “Donne e Uomini della resistenza” all’indirizzo web:  http://www.anpi.it/donne-e-uomini/3056/carlo-de-berardinis .
Nel ringraziarle per la dimostrazione di stima e affetto verso la figura di quest’uomo, La saluto cordialmente augurandole buon lavoro.

In fede
Walter De Berardinis









Scheda Biografica di Carlo De Berardinis (1924 Cologna paese – 2013 Giulianova)
Il sindacalista Carlo De Berardinis nacque all’alba (03:00) del 29 novembre del 1924 in una delle tante masserie di proprietà delle famiglie Mazzarosa-Devincenzi (i Mazzarosa erano di Lucca e i Devincenzi di Notaresco), in località Cologna Paese. Il papà era Giovanni e la madre Grazia Di Bonaventura, ed erano alla dipendenze proprio dei Mazzarosa-Devincenzi. Era il quartogenito di 7 figli, gli altri erano: Arturo (poi perito in servizio con i Bersaglieri a Udine), Carlo (morì appena nato), Aldo, Arduino, Vincenzo, Clementina (morta giovanissima) e di nuovo Clementina (oggi l’unica vivente). Il suo nome era stato volutamente imposto dalla madre per ricordare il suo primo marito morto in Trentino Alto Adige (Caoria di Canal San Bovo) nella grande guerra del 1915/18. Pochi mesi dopo la sua nascita, il nonno Gaetano e sua moglie Annunziata Di Giangiacomo (di Varano di Teramo), decisero di investire i loro risparmi a Giulianova acquistando dei terreni con annesso casolare della famiglia di Costanzo Trifoni e di sua moglie Silvia Ricci, alla modica cifra di circa 80.000 lire per 10° ettari di terreni in contrada Capocelletti di Colleranesco. Solo nel 1936, la sua famiglia, si trasferì definitivamente a Giulianova. Intanto a Cologna Spiaggia frequentò le scuole dell’obbligo per poi passare, una volta giunto a Colleranesco, al Regio Istituto “Raffaello Pagliaccetti” di Giulianova Alta (oggi Scuola Elementare De Amicis). Il padre Giovanni, che in passato aveva avuto dei timidi contatti con i socialisti di quel tempo, con l’avvento del Fascismo per quieto vivere si adeguò al sistema. Non per il figlio Carlo, che mal volentieri era costretto a frequentare le famose adunate del sabato Fascista (il percorso era dall’antistadio di Via Migliori, passando per Piazza della Libertà, Corso Garibaldi, Via Acquaviva, Via del Popolo e poi di nuovo al Campo della Fiera). In un freddo pomeriggio, dopo il rituale discorso del Federale locale, lui si rifiutò di aderire alla MVSN (Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale), il Federale andò su tutte le furie accusandolo di essere un sovversivo, un traditore della patria e un cospiratore, facendo volare anche dei ceffoni. Questo sarà per lui l’episodio che più lo segnerà per le future scelte politiche. Chiamato alle armi il 12 gennaio del 1943, fu riformato per problemi di Salute. Nel luglio dello stesso anno, dopo la caduta del Fascismo, avendo già preso contatti con il giovane Avvocato Ricardo Cerulli, partecipò all’occupazione simbolica del Palazzo del Fascio (oggi ex ufficio del Registro in Via Gramsci). Dopo pochi giorni, anche a Giulianova, arrivarono i tedeschi. Anche la sua famiglia subì razzie e soprattutto gli furono requisiti tutti gli animali adibiti al trasporto, tra cui una cavalla bianca (Ida) e il suo calesse. Nonostante veniva fermato quotidianamente dalla polizia tedesca, per il semplice fatto che non era al fronte, se la cava sempre perché portava dietro di se il certificato di riforma. Finche, con l’intensificarsi dei bombardamenti, fu prelevato insieme ad altri giovani del posto e portato tra le file della Todt (servizio obbligatorio del lavoro) per ricostruire i vari ponti e passaggi di fortuna per le armate tedesche in ritirata verso nord. Finalmente, dopo alcune giorni di duro lavoro manuale, scappò insieme ad altri e si diede alla macchia. Vagò per alcuni giorni nelle campagne circostanti fino ad arrivare nel territorio di Campli. Quando ritornò nel suo casolare, insieme al padre e gli altri fratelli più piccoli, scavarono un rifugio antiaereo per nascondesi e soprattutto per non farsi vedere dal vicino presidio tedesco dislocato nella Villa dei Trifoni. Anche lui, dopo qualche discussione e soprattutto ammaliato dal carisma del giovane Avvocato Riccardo Cerulli, si unì ai circa 80 uomini della banda denominata “la Giuliese Garibaldi”. Alla fine del conflitto, ci fu grande festa anche a Giulianova con un improvvisata sfilata per il corso principale. Alla guida di un carretto trainato da un cavallo vi era Paolo Marracini e anche Carlo. Tra le loro file c’erano anche: l’Avv. Riccardo Cerulli, Attilio Battistelli, Alfredo Parere, Dino Macellaro, Renato Rossi, i fratelli Pasquale e Giorgio Campeti, Giuseppe Martinelli, Donato Falà, Lenin Tancredi, Attilio Piccinini, Paolo Marracini, Renato Giuliucci, Enrico Ettorre, Tommaso Umile, Tommaso Mascaretti,  ed altri antifascisti giuliesi. Pochi giorni dopo, essendo stato il primo rappresentante della Federterra (Federazione dei Lavoratori della Terra), insieme a Sante Ferri del P.C.I. (Partito Comunista Italiano), Pio Maceradella C.G.I.L. (Confederazione Generale Italiana Lavoratori), occuparono di nuovo gli uffici della casa del Fascio. Solo il 15 settembre del 1951, dopo che furono tutti e tre condannati dallo Stato italiano, per occupazione abusiva di una sede pubblica, dovettero spostarsi. Intanto molti esponenti del PCI locale cercavano di convincere il compagno “Carluccio”, questo il diminutivo che gli affibbiarono oltre al suo soprannome della sua casata “Ciok”, ad aderire alla formazione politica di Gramsci. Anche se lui simpatizzava per quest’ultima formazione politica, pare che avesse già la tessera nel 1945, nacquero degli attriti con i compagni di Colleranesco per via della sua famiglia che era già proprietaria di vasti appezzamenti di terra. Fu l’amico e compagno Amedeo Grue a raccogliere e iscrivere il giovane De Berardinis tra le file del P.S.I. (Partito Socialista Italiano), dove ritrovava un altro fedele amico come Romolo Trifoni. Noti anche i battibecchi con l’allora Parroco di Colleranesco, Padre Serafino Colangeli, per via della contrapposizione tra i cattolici e la sinistra. Dal 17 al 21 ottobre del 1946 fu presente come delegato al 1° Congresso Nazionale della Federterra a Bologna. Nel gennaio del 1947, per conto dell’Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura   di  Teramo,  istituì   corsi  d’aggiornamento  per  i  giovani  e  meno giovani  agricoltori  della  Val Tordino; nel aprile del 1956, sempre per conto dello stesso ente, fu inviato  come  docente all’Ente Riforma del Fucino di Avezzano e poi Paganica. Intanto, nel mondo agricolo, si fanno pressanti i bisogni di quest’ultimi per rivendicare i diritti basilari come: maggior reddito, maggiori servizi e una maggiore partecipazione alla vita politica e sociale nel paese. La sua Federterra diventa Confederterra, nata dalla riunificazione della Federbraccianti, Federmezzadri e Associazione dei Coltivatori Diretti. Nel 1955 aderisce all’Alleanza dei Contadini e parteciperà come delegato al 2° congresso di Roma nel marzo del 1965. Inseguito, l’organizzazione, cambierà ancora denominazione in C.I.C. (Confederazione Italiana Coltivatori) siamo nel 1977, fino all’attuale C.I.A. (Confederazione Italiana Agricoltori) nata nel 1992. Alla fine degli anni ’60 conosce e sposa al Santuario di Maria Santissima dello Splendore (28 dicembre del 1967) Margherita Toscani, nota sarta ed insegnante di cucito di Mosciano Sant’Angelo che gli darà 4 figli: Gianfranco (scomparso precocemente), Cinzia, Walter e Arino (quest’ultimo vive e lavora a Tokyo in Giappone). Gli anni ’70 saranno per lui occasioni di grandi scelte. L’agricoltura conosce un periodo di grande trasformazione e anche di una profonda crisi, tanto da farlo confluire nella C.G.I.L., diventando il primo Direttore del patronato INCA-CGIL di Giulianova, operante nel comprensorio della Val Tordino. Tra le file della C.G.I.L. e quelle nel P.S.I. giuliese si batterà per i diritti di tutti i lavoratori. Anche dopo la pensione, continuò nell’ambito dell’attività dello SPI-CGIL (Sindacato Pensionati Italiani). Alla fine del 1991, una grave malattia, gli impedirà di usare entrambi gli arti inferiori, ma nonostante tutto volle partecipare alle tante manifestazioni che si tenevano nella sua città: il 1 maggio (festa dei lavoratori) e il 25 aprile (festa della liberazione). In una calda mattinata di domenica 29 giugno del 2003, spirava nella sua casa a Giulianova Alta. Di lui rimangono impresse le doti di caparbietà e voglia di servire il prossimo in funzione dei lavoratori. Un sindacalismo alla vecchia maniera, sicuramente un mondo che non c’è più e che molti rimpiangono.
*Il presente saggio è l’estratto del libro che è in corso di preparazione sulla sua vita umana e professionale.